Il signor D’Amico, classe 1921, abitavaal piano terra. L’appartamento, un bilocale freddo d’inverno etorrido d’estate, si trovava in una delle vie più trafficate diRoma, la via Appia. Nessuno nel palazzo conosceva il nome del signorD’amico.
Non frequentava nessun condomino, non andava alle riunioni,se qualcuno suonava alla porta o al citofono non rispondeva.Nessuno sapeva se avesse parenti, sicuramente non avevaamici. L’unica persona ad averlo conosciuto davvero era stata suamoglie, Maria, morta dopo pochi anni di matrimonio. Era stata lei ilsuo contatto con la vita. Da quando se n’era andata il signor D’Amico(che cognome beffardo), aveva tagliato ogni rapporto col mondo.IMisuraca, figli dell’inquilino del terzo piano, lo avevanosoprannominato l’alieno e lo perseguitavano con scherzi terribili.Una volta gli fecero trovare un gatto morto sul tappetino.
Eral’estate la stagione migliore per il vecchio, specialmente agosto,quando un po’ di gente si toglieva di torno e il condominio restavadeserto. Era il settantesimo ferragosto senza Maria. Roma era come undeserto, silenziosa, neanche un po’ di vento.
Si crepava.Ilvecchio si svegliò piuttosto tardi rispetto al solito, intorno alleotto. Dormiva quattro ore a notte da molti anni.
Si lavò e si vestì,indossando come ogni mattina la cravatta che piaceva a sua moglie; neaveva sette uguali, in modo da potersela cambiare tutti i giorni. Delresto Maria nei sette anni di matrimonio, da quando si era ammalata ela sua mente aveva iniziato a vacillare, gli aveva fatto sempre lostesso regalo: una cravatta rossa. Sette, come i sette anni dimatrimonio.
Il signor D’Amico quella mattina si diresse versoil frigorifero per prendere il pacchetto del caffè, il caffè infrigorifero si conservava fresco. Quando aprì lo sportello restò aguardare all’interno, il viso bluastro sembrava quello di unacreatura degli abissi in un acquario. Chiuse il frigorifero senzabattere ciglio, restando immobile, come folgorato dall’inconcepibile.
L’immagine di quanto aveva visto era ancora fotografata sulla suaretina, capovolta e grottesca.Allargò il nodo della cravattarossa e riaprì il frigorifero. Stavolta guardò con maggioreattenzione e lo vide. Uno strano individuo, poteva essere un bambino,una rana dagli occhi lunghi, un raro bipede, una farfalla dalle aliocchiute. Quando si arriva a novantasei anni poche cose stupisconodavvero. Al signor D’amico non restava che ripercorrere nella memoriatutta la sua vita per trovare traccia di qualcosa del genere. Ma nonci riusciva.
L’orologio della sala suonò le quattro delpomeriggio. Una pozza d’acqua si allargava sotto il frigoriferospalancato. Il rivolo, a causa della leggera pendenza del pavimento,lambiva la punta della scarpa del vecchio, seduto su una sedia difronte al frigorifero aperto.”Chi sei?”Chiese.”Questa è l’area 51?” Rispose la vocedentro al frigo.
Il vecchio era perplesso. “Che? Area…
51? No, qui è via Appia 219″.”Allora hannosbagliato… è una bella fortuna.
“Chi fosse entrato inquel momento in casa avrebbe visto la seguente scena: un vecchio dipiù di novant’anni seduto su una sedia a discutere con unfrigorifero spalancato che emanava una luce blu.Il vecchioera incredulo.”Dovevo essere nel Nevada adesso”.
Disse la cosa che stava nel frigorifero. “Ma qui c’è un buonodore di caffè.”La sera scese sulla città deserta. Poiarrivò la mattina del sedici. La luce filtrava attraverso le stecchedella persiana. Il vecchio si svegliò.
Per un momento gli sembrò diessersi destato da un sogno. La porta del frigorifero era ancoraaperta ma la luce blu era sparita.”Che strano sogno.
“Disse. Si alzò dalla poltrona, doveva aveva passato la notte. Cercòcon lo sguardo l’orologio a muro della sala, segnava le sette dellamattina. “Ho dormito quasi un giorno.”Gli facevanomale le gambe, gli doleva la schiena. Chiuse il frigorifero e sidiresse verso il bagno. Solo allora si rese conto che tutto intornoil perimetro della stanza si accumulavano strati di carta da parati.Qualcuno l’aveva staccata dal muro.
“Ma chediavolo…”Nascosta dietro ad una credenza una creaturabluastra leccava la colla secca di quella che per cinquant’anni erastata la carta da parati di casa D’Amico.”La mia cartada parati!”Il vecchio ora poteva vedere distintamentequella strana creatura blu avvolta nelle strisce di carta. La liberòdai rotoli e dopo averla presa per mano la trascinò via.”Nonso chi tu sia ma adesso vedrai.
Fuori di qui! Lo dirò ai tuoigenitori! Vedrai come ti puniranno, brutto nano schifoso!”Dopoaver vestito lo strano essere con qualche indumento preso dal suoarmadio, una canottiera, una coppola, e un paio di pantaloncinicorti, il signor D’Amico e la creatura furono in strada.Erail sedici di agosto e nelle strade non c’era nessuno. Il vecchio erafuori di sé, camminava con lo sguardo basso, obbligato dalla suagobba. Ogni tanto alzava gli occhi, e fu solo dopo un po’ che si reseconto che c’era qualcosa che non andava.”Ma dove sonotutti?””È un pianeta disabitato il vostro?”Chiese la creatura.”Scherza scherza.
Adesso vedraiquello che ti succede. Non sarai mica del campo nomadi di Ciampino?Ora ti riporto alla tua Area 51 o alla polizia.”Poisembrò ricordarsi di qualcosa. “Vediamo se almeno Gino haaperto.””John Jeeenow? C’era un Jeenow nel 1947,direttore del progetto Have Blue/F-117.
Aveva uno strano accento delWisconsin.””No, Gino il barbiere. È diCrotone.”Percorsero le strade deserte del quartiere.Arrivarono davanti ad una saracinesca abbassata, sulla quale con delnastro adesivo era attaccato un foglio di carta bianca: “Sono inferie. Per sempre”.Il vecchio avvicinò il viso alcartello.
Si lasciò sfuggire un mugugno di stizza.”Vabene, andiamo prima alla posta, queste bollette sono scadute da unasettimana.”Ma anche la serranda dell’ufficio postale eraabbassata.
“Ma che succede? Ma dove sono andati tutti!”Gridò. La sua voce rimbombò tra i palazzi con un’eco spaventosa. Lacreatura emise un sibilo.
Stava ridendo.Il vecchio sembròimprovvisamente riemergere da un sogno e vide in lontananza l’insegnadel supermercato. “Un supermercato aperto? Questosembra essere un miracolo.
“Nel supermercato c’era solo unacassiera annoiata che smanettava col suo smartphone, il banconistadei salumi con le dita nel naso, appoggiato ad un prosciutto appeso,e un addetto agli scaffali che allineava maniacalmente le etichettedei detersivi. Il vecchio si avvicinò al ragazzodegli scaffali. “Avete colla per carta da parati?””Buongiorno a lei” Replicòl’inserviente guardando in cagnesco sia il vecchio sia il tipetto concui si accompagnava.La creatura emise il suo solito sibiloche la scuoteva e le faceva tremare la coppola sulla testa. “Èsuo nipote signor D’Amico?””No. È un alieno.
“La creatura alzò lo sguardo sulragazzo, che restò interdetto. Gli occhi di quella cosa eranoprofondi come la notte e inintelligibili. L’inserviente sembròspaventato e balbettando con un filo di voce indicò uno scaffale infondo a destra.Il vecchio e il nanetto si diresseroverso lo scaffale. D’Amico scelse la colla e si diresse alla cassa.La cassiera passò la colla sul lettore ottico senza staccare gliocchi dallo schermo del telefono. “”Sono venti e settanta”. Il vecchio estrasse il portafogli e loaprì.
C’erano solo monetine. Iniziò a contarle una ad una. Soloallora la ragazza alzò gli occhi e seguì senza alcuna emozionequella lunga operazione meticolosa.D’Amico poggiò una pila di monetine dadieci e cinque centesimi una sull’altra. La pila era così alta chesarebbe bastato uno sguardo di una persona in più a farla crollare.
“Sono dodici euro e novantacinque.”Borbottò il vecchio, con lo stesso tono fiero di chi stacca unassegno da mille euro.La ragazza restò a fissare. “Nonbastano. Evidentemente”.”Tu segna. Te li porto quando prendola pensione.
“L’alieno emise il suo sibilo e la pilacrollò miseramente facendo rotolare monetine dappertutto. La ragazzascoppiò a ridere. Allora l’alieno si tolse la coppola e allora larisata della ragazza si trasformò in un urlo straziato. Accorsero ilsalumiere e l’inserviente per capire cosa stesse capitando. Ilvecchio, che stava raccattando le monete dal pavimento, si rialzò mane aveva raccolte a mala pena una decina. I due uomini videro quellacosa bluastra che li fissava con occhi minacciosi. “Chiama le guardie.
” Disse ilsalumiere all’inserviente.La creatura si era rimessa il cappelloma ormai la cassiera era terrorizzata e continuava a urlare. Ilvecchio spinse fuori dal supermercato l’alieno mentre l’inservientechiamava la polizia.Tornarono verso casa. Nellacassetta della posta il signor D’Amico trovò una cartolina. Era unavviso di sfratto.
Stava ancora leggendo e rileggendo quel bigliettoquando qualcuno glielo sfilò dalle mani. Erano i figlidell’inquilino del terzo piano, i Misuraca. I bulli del terzo.”Haivisto Jack? L’alieno ha un nipote!””No, è l’alienodell’alieno”.
Risero.D’Amico cercò di riappropriarsidel cartoncino ma i due ragazzi se lo passavano velocemente, facendogirare il vecchio come una trottola. Poi improvvisamente il più altodei due strappò il cartoncino in minuscoli pezzettini e li lanciòin aria. Se ne stavano tornando a casa sghignazzando quando la stranacreatura iniziò a emettere un suono sottilissimo. I due ragazzi sivoltarono spaventati.
Molte farfalline bianche svolazzavanosollevandosi dal pavimento: erano i pezzettini di carta che silibravano all’altezza del naso del vecchio, gli giravano intorno comeun’aureola e lentamente atterrarono sul palmo della sua mano,ricomposte nella forma dell’avviso di sfratto.I due ragazziscapparono di corsa e sparirono nei piani superiori. Si sentìsbattere una porta. Il vecchio restò inebetito a guardare ilbiglietto per qualche secondo.
“Chi sei?”Il vecchio, seduto a tavola, guardava la creatura, che aveva occhilanguidi e scuri.”Vieni da quell’area 51?””Sì.””Comehai fatto a fare quella cosa, prima?””E tu come faia respirare?”Il vecchio annuì.”Hai un malequi.” Disse l’alieno, toccandosi il petto. “Lo sai che staiper morire?”Il vecchio restò in silenzio. Come quandoqualcuno dice una cosa che tutti sanno ma che nessuno ha mai avuto ilcoraggio di ammettere ad alta voce.
Si asciugò gli occhi.”Temanca la tua Area 51?” Domandò il signor D’Amico.”No,l’Area 51 è la mia prigione.
Mi hanno catturato nel 1947. Mi mancail mio pianeta”.”Come si chiama?””Ilsuono tradotto nella tua lingua è un numero composto dicentonovantanove cifre.””Mi piacerebbe tantovederlo”.”Non è così diverso daqui.””Davvero?””C’è ogni cosa,per questo non ci sono campi rom. Capisci?””Io nonriesco a capirlo, ma solo perché ho l’arterio sclerosi.
Mi sembrabello però.””Prendi me per esempio. Io sono anchetutti gli altri abitanti dell’universo. Di ogni tempo. Sono tuttidentro di me. E ti stiamo guardando.”Il vecchio guardògli occhi scuri ed enigmatici dell’alieno e sentì un brivido.”Cimancano solo due cose, che qui avete.
“”Davvero?Quali?””Il tempo e l’ossigeno. Ma la verità è chenon ne abbiamo bisogno”.Il vecchio era perplesso. “Sevenissi con me capiresti.
“”Ma tu come sei arrivatoqui?””Con il teletrasporto.””Comein Star Trek!”L’alieno sorrise. “Star Trek è moltomeglio di Guerre Stellari. È da veri intenditori.”I duerisero.”Allora perché non torni a casa, se ti manca?”Chiese il vecchio.”Perché funzioni il teletrasportobisogna essere in due. Da solo non posso farcela.
Non qui sullaTerra””Dovrebbero tornare a prenderti?””Sì,ma dubito sappiano dove mi trovo.”Il vecchioannuì.”Sei capitato nel posto peggiore. Sono vecchio,povero e con i giorni contati.
Non ho neanche l’automobile.””Tupotresti aiutarmi.””E come?””Tel’ho detto. Bisogna essere in due perché funzioni.””Maio non ho mai teletrasportato. Non ho neanche la TV”.”Miaiuterai?””Va bene.
Dimmi cosa devo fare.””Selo fai verrai con me e non potrai più tornare qui.”Ilvecchio capiva quello che voleva dire. Si guardò intorno.
Vide lepareti senza carta da parati, il frigorifero spalancato e le moscheche entravano e uscivano. C’era un odore cattivo in casa, comel’odore dei suoi giorni di solitudine.”Non è poi ungranché la vita da queste parti. E poi anche qui mancal’ossigeno”L’alieno emise un sibilo. Quella era la suarisata.
Anche il signor D’Amico rise.”Sono pronto. Peròprima vorrei andare a prendere una cosa.
“L’alieno guardòil vecchio negli occhi. Erano completamente neri, ma espressivi. Ilvecchio era come ipnotizzato da quello sguardo che gli ricordavaquello degli orientali.”Non avrai bisogno delle tuecravatte rosse. Stai benissimo così.””Come fai asapere delle mie…
?”Il vecchio ebbe un fremito. Silasciò cadere sulla sedia. Si coprì il volto con le mani. Poi siasciugò gli occhi. Non aveva il coraggio di guardare l’essere che,seduto su una sedia, continuava a fissarlo con uno sguardo enigmaticoe suadente allo stesso momento.”Non si finisce mai deltutto, Mario.
“Il vecchio annuì piangendo. “Sonosicuro che non avrò bisogno di cravatte rosse.”L’alienoguardò il signor D’Amico.
La stanza si riempì di una luce bluastra.Come quella dell’universo in ogni tempo.Vorremmo che nella storia si percepissela nascita e il consolidamento, dopo qualche incomprensione, di unamicizia tra specie diverse (alieno e vecchietto) Vorremmo che simettessero in evidenza le differenze ma che, nonostante queste, anchespecie diverse, di mondi diversi, possono diventare amici e aiutarsi.La storia deve essere ambientata nel2017 in una grande città, tipo Roma o Milano, cercando di inserire ipersonaggi nei tempi e luoghi delle grandi metropoli (ad esempionella folla di una metropolitana, ecc.)